IL POTERE DEL CANE di Thomas Savage. Complessi intrighi familiari, passioni represse e sentimenti negati in una società machista e violenta



Romanzo ispiratore dell'acclamato film omonimo di Jane Campion, Il potere del cane di  Thomas Savage  è una intensa storia di complessi intrighi famigliari, di repressa passione e sentimenti negati per cercare di inserirsi in una società machista e conservatrice.

Ambientato nello scenario di un western nel tempo nuovo della bella epoque, Il potere del cane racconta di Phil, un uomo da ranch carismatico quanto brillante, elogiato e benvoluto da tutti, che però non è mai riuscito, a causa del contesto in cui è cresciuto con suo fratello George, a  poter comprendere se stesso e i suoi veri desideri. Essendo lui omosessuale ed dovendo nascondere la sua vera identità,  ha interiorizzato dentro di sé una mascolinità tossica, misogina e omofoba che lo ha distrutto.

Phil scatena la sua frustrazione sulla moglie di George, Rose e sul figlio Peter.  Il nipote acquisito è un ragazzo apparentemente docile, dalla manualità creativa e dai modi “effeminati” che Phil e il suo “branco” non possono che  deridere.

Tutto però cambia quando Phil decide di essere per Peter un mentore che gli insegni attraverso la cultura del ranch ad essere un vero uomo. 

Stile

La scrittura dell’autore, diretta e fluida, sa dimostrarsi accattivante quanto sconvolgente, ma in certi punti soprattutto eccitante. Trasporta il lettore in una narrazione cupa, con un finale significativo per la rappresentazione dei personaggi. 

Il film 

Sin da quando ho visto la pellicola di Jane Campion non ho potuto fare a meno di leggere il libro che mi ha coinvolto in quella che è effettivamente la storia personale dell’autore stesso e del contesto in cui è cresciuto che  è riuscito a rappresentarla in un sfondo non tipicamente western americano ed eroico come tanti di noi abbiamo sempre immaginato. Savage ha rappresentato una generazione in balia di cambiamenti che a causa delle feroci limitazioni sociali non vengono vissuti  liberamente e senza pregiudizi.

Recensione di Francesca Saltarello

Commenti

luckyreader ha detto…
Dal film al romanzo, e ritorno

La storia dei Burbank mi aveva  già catturato nell'omonimo film di Jane Campion, ma il romanzo di  Thomas Savage, che lo ha ispirato, aggiunge emozioni che solo la parola scritta “bene” sa evocare.

Sono gli anni  20 nel Montana, in quell’ America profonda dove tutto sembra fermo nel tempo, tranne le passioni, i conflitti psicologici, le onde  tumultuose della vita. Quella raccontata da Savage è una storia antica e modernissima allo stesso tempo, perché universali sono i temi che coinvolgono la sfera dell’affettività dentro e fuori il nucleo familiare; perché l’essere umano si nutre del cibo vitale in cui il bene e il male fanno da ingredienti irrinunciabili.

George e Phil Burbank sono due fratelli tanto diversi all’apparenza e tanto simbiotici nella sostanza. Sembrano due facce della stessa medaglia, sebbene  le loro scelte di vita li portino a creare tra loro un solco così profondo che nel tempo aumenta inesorabilmente. George è rigido, attento alle convenzioni e a volte sembra quasi  uno stupidotto. Phil è brillante, colto, anticonvenzionale e nemico di ogni forma di affettazione e ipocrisia. Il primo ispira pietà, il secondo irritazione e spesso antipatia, se non odio.

I genitori, o “I vecchi signori” come li chiamano loro, sono ricchi allevatori che a un certo punto della loro  brillante esistenza decidono  di  abbandonare il ranch per godersi ”la pensione” altrove, coltivando  i loro interessi culturali.  I figli sono grandi  e in grado di cavarsela da soli, ora è tempo di  pensare solo a se stessi.

Quando la bella vedova Rose entra nella vita dei due fratelli gli equilibri si spezzano e tutto cambia. I personaggi subiscono dei cambiamenti profondi.

Peter

Tra questi spicca Peter, il figlio “strano” di Rose e di John, medico del villaggio tanto  buono e bravo  quanto debole, morto in modo inaspettato. Peter è oggetto di scherno  da parte dei bovari del ranch che lo vedono  troppo effeminato e “diverso”. È stato proprio Phil a dare il via a questa denigrazione continua quando nel ristorante di Rose ironizza ferocemente sui fiori di carta creati da Peter.

Peter non può non fare quello che serve a se stesso e all'amata madre. Riesce infatti a penetrare la corazza di  Phil che in lui  vede il se stesso  tenuto  nascosto per anni. Phil è consapevole che una volta aperta la porta alle emozioni, lo ha già sperimentato in passato,  la sofferenza entrerà prepotente nel suo cuore e nel suo cervello. continua su affascinailtuocuore.net

Grazie Francesca per questo suggerimento di lettura. Fantastico! Ornella

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