J.Coe-BOURNEVILLE Cronaca dalle Midlands-UK al sapor di cioccolato Cadbury

 


Faccio un salto in biblioteca e prendo in prestito Bourneville, di Jonathan Coe, un autore che mi piace. È in italiano, ma va bene lo stesso, perderò alcune sfumature della lingua inglese, ma confido nel lavoro sempre magistrale dei nostri traduttori. Lo inizio senza indugio, la scadenza della restituzione mi aiuta.  

Bourneville, sobborgo di Birmingham, è una città-fabbrica (company town) fondata da John Cadbury nel 1824. Gran parte delle famiglie lavora, più o meno direttamente, per Cadbury, che tuttavia non riesce a sfondare nei mercati europei a causa dei rigidi parametri di composizione del prodotto.  Esilarante è  il racconto di Martin che lavora per Cadbury negli uffici della UE, a Bruxelles, quando descrive tutti gli estenuanti passaggi burocratici su etichettature dei prodotti, voti a favore, voti contro, revisioni, dilazioni, inutili perdite di tempo. 

Coe ci accompagna lungo un arco di tempo molto lungo e ricco di eventi epocali che hanno cambiato il volto dell’Europa e del Regno Unito (forse). Settantacinque con la famiglia Lamb, in particolare con Mary: pianista, professoressa di Educazione Fisica, guidatrice provetta e spericolata. Incontriamo anche i suoi parenti, discendenti e connazionali, le cui vite sono attraversate da eventi, luoghi, persone e situazioni determinanti, come la fabbrica di cioccolato Cadbury in cui hanno lavorato generazioni di abitanti di Bournville. Come la seconda guerra mondiale, il discorso di Churchill alla radio, l’incoronazione di Elisabetta II in televisione, i mondiali di calcio del '66 con l’epica finale tra Germania e Inghilterra, l'investitura di Carlo in Galles, l’odio dei Gallesi per gli Inglesi, il seggio di Boris in Galles, che sfida i laburisti da sempre al governo.

E poi la Brexit che proprio grazie al Galles fa il pieno di voti. E non manca il matrimonio da favola di Diana e Carlo, spettacolo mondiale! Tutti davanti al televisore o per le strade di Londra ad assistere alla cerimonia e al trionfo dell’amore regale! Ma poi arriva  anche la morte di Diana, (principessa del popolo, come la definì Blair che per questa frase acquistò punti come politico), il funerale e il lutto inconsolabile dei britannici e non solo, l’ascesa imprevista di Boris, Brexit, UE, razzismo, snobismo degli accenti giusti, Covid e altre amenità. E tanta bella musica. Ne viene fuori un ritratto del Regno Unito molto articolato in cui affiorano i pregi della società britannica, ma anche i suoi innegabili difetti. Con garbo... 

Mary Lamb 

Coe fa rivivere tutte le sensazioni provate durante il lungo periodo  del Covid. È una sezione molto intensa, soprattutto i rapporti tra i “tre ragazzi Lamb” e la madre Mary, ormai ottantaseienne. Il racconto è talmente coinvolgente che ho subito pensato che ci fosse molto di Jonathan nella storia. Ed è proprio così, ce lo conferma  la Nota finale dello scrittore. 

Altrettanto coinvolgente è la conflittualità tra Bridget, moglie nera di Martin, e Sam suo padre che ha verso di lei un atteggiamento decisamente razzista. Ma sono tanti i personaggi che rendono questa storia molto umana e contradddittoria, e provocano empatia nel lettore. Penso ai nonni tedeschi e allo stigma che hanno dovuto sopportare: “nazisti” a prescindere!  

Il colore dei nipoti 

“Non hanno un bel colore, ti ho chiesto?” Si protese per dare un'occhiata. “Sì, sono molto graziosi” rispose con indifferenza. Non sto parlando di questi (ciottoli di Lorna) disse sua madre. “Mi riferivo a Lorna, Susan e Iain”. Per un momento lui non capì, o piuttosto stentava a credere a quello che aveva sentito. Ti riferisci ai ragazzi? Ai figli di Martin e Bridget? “Sì, hanno un colore meraviglioso secondo me. Non è né nero né bianco. Qualcosa a metà.” Colto di sorpresa, non sapendo cosa dire, Peter borbottò: “Sono dei bei ragazzi, questo è certo. “Indicò Lorna “È una bambina molto graziosa. L'ho sempre detto. “Sì, ma immagina se tutti al mondo avessero quel colore. Non ci sarebbero più problemi di questo tipo, no?” p. 278 

Un’ inaspettata rivelazione conferisce alla storia un tocco di mystery. Non ne parliamo qui. Possiamo però parlare della conclusione del romanzo, che non rivela nulla, ma offre al lettore un momento di riflessione alla Coe. Il riflettore è puntato su una nuova famiglia britannica: una coppia di rifugiati iraniani che vivono nella vecchia casa dei Lamb, dove Mary la protagonista della storia, è nata e cresciuta. 

“Shoreh senti di abitare simultaneamente il passato, il presente e il futuro: ricordò la propria infanzia, i giorni della scuola più di vent'anni prima, la piccola scuola a Hamedan, un ricordo antico ma vivido, ma le venne in mente anche che quei ragazzini che strillavano e cantavano sarebbero stati quelli che avrebbero portato sulle loro spalle il peso degli anni successivi. Passato, presente e futuro: ecco quello che sentiva nelle voci infantili sul campo giochi e metà mattina, durante l'intervallo tra le lezioni. Era come il mormorio di un fiume, come il rumore dell'onda di marea, un contrappunto distante al fruscio della sua scopa sui gradini, una voce eterea che le sussurrava più e più volte all’ orecchio, simile a un mantra: ‘tutto cambia e tutto resta uguale’.” p.418 

Arrivo alla fine pervasa da un senso di malinconica soddisfazione. È il solito Coe che cosparge i suoi romanzi d’ ironia, talora amara, di venature tenere e liriche, di incursioni nella realtà del Regno Unito e del vecchio Continente. Ogni volta cado nella sua trappola e non è difficile che qualche lacrima cerchi di defluire oltre i bordi. 

 La fuga di Mary verso la libertà 

"Girò la chiave dell'accensione, allacciò la cintura sotto lo sguardo flemmatico di Charlie, che dentro casa aveva ripreso il suo posto sul davanzale della finestra, il cuore le batteva forte mentre in retromarcia raggiungeva la strada e imboccava la discesa. Era la cosa più azzardata e ribelle che avesse fatto in vita sua. Non aveva dimenticato come si guidava, né correva il pericolo di avere un incidente, ma in tutti i suoi ottantasei  anni non aveva mai infranto la legge consapevolmente. Per fortuna, ignorando che ci fossero delle telecamere nascoste montate sulle strade. Tra Lickey e Bournville, poteva cullarsi nella felice illusione di passare inosservata. Passò rapidamente dalla prima alla quarta, gustando la sensazione della leva del cambio nella mano e della spinta dell'accelerazione, mentre si avvicinava alla rotonda. In Bristol Road dove il limite di velocità era di cinquanta chilometri all'ora, lei arrivò fin quasi a ottanta. Usciva e rientrava nella fila di macchine sorpassando quelle più lente alla cui guida c'erano spesso persone molto più giovani di lei. Non aveva perso niente della sua bravura, né della velocità dei riflessi. Cominciò a sentire una parte di sé che tornava a galla, qualche elemento essenziale della sua identità che si era smarrito nell'ultimo anno e mezzo.”  p.388

 

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