M. Balzano - RESTO QUI, a Curon. Storia di una diga e della “grande opzione”

 

Storia di chi fugge e di chi resta tra  guerre, calamità naturali, scelte economiche e conflitti sociali che ammorbano una comunità; storia dei perché, dei come e dei quando ciò accade. Questo è quanto racconta Marco Balzano nel suo bel romanzo, Resto qui.

L'ho iniziato con un certo scetticismo, anche se Pina ne ha parlato molto bene durante l’ultima riunione del nostro gruppo di lettura Girolibro. L’ ha sorpresa come un giovane scrittore riesca a calarsi in modo davvero “realistico e convincente” nelle vesti  della narratrice protagonista Trina. Ho dunque iniziato la lettura con un obiettivo in mente: scoprire quanto  efficace fosse l’assunzione del punto di vista femminile da parte di Balzano.  Man mano che la lettura procede, trovo la storia sempre più interessante. Effettivamente Trina è un personaggio affascinante e ricco di sfaccettature e Balzano la "interpreta" in modo decisamente credibile.

Le maestre clandestine

Trina, la maestra-protagonista-narratrice, vuole insegnare ai bambini del paese il Tedesco-lingua del cuore, che il governo fascista proibisce in favore dell’Italiano-lingua dei dominatori. Di fatto le padroneggia entrambe e in fondo riesce a trovare nell’Italiano anche elementi poetici  e belli. Tra mille difficoltà  e  con l'aiuto del prete del paese Trina comincia a insegnare il tedesco a piccole classi di bambini, in clandestinità:

“Piuttosto che prendere noi assunsero semi analfabeti siciliani e delle campagne venete. Del resto che i bambini tirolesi imparassero qualcosa era l'ultimo dei problemi del Duce.

 Noi tre passavamo le giornate camminando, ma oggi per la piazza affollata, con i venditori ambulanti che fino a sera hanno smettevano di strillare e le donne che si radunavano a grappolo intorno ai carri.

Una mattina il prete ci venne incontro, ci spinse in una viuzza vuota, con il muschio che macchiava i muri. Disse che se davvero volevamo insegnare, dovevamo andare nelle catacombe. Andare nelle catacombe significa fare le maestre clandestine. Era illegale e voleva dire multe,  botte, olio di ricino. Si poteva finire al confine su qualche isola sperduta. Barbara disse subito di no, io e Maya ci guardammo titubanti.-Non c'è tempo di pensare!- ci incalzò il prete.”p.19

Trina traduttrice

Trina diventa anche interprete e  traduttrice non sempre fedele, quando le mogli degli uomini in guerra la pregano di leggere le lettere dei loro mariti. Lettere, piene di omissis e di  piccole banalità in chiaro, che Trina infiocchetta per dare alle donne un po' di  dolcezza e di conforto.

Diventa traduttrice per suo marito Erich quando viene pubblicato il bando in cui si dice che il gruppo Montecatini inizierà i lavori di costruzione della diga, praticamente annegando i paesi del circondario. Le parole del bando escono con grande difficoltà dalla bocca di Trina, perché dicono qualcosa in cui lei non crede e che è sicura faranno soffrire suo marito.

Questo è un gioco di lingue che si intrecciano, che si contrastano, che si rincorrono in un conflitto che continuerà fino ai nostri giorni. Ed è l’aspetto del libro  che tocca subito le mie corde di lettrice, per la mia particolare propensione a cogliere gli aspetti linguistici di un libro.

Trina contadina

Mentre Erich è in guerra, Trina deve necessariamente prendere in mano la gestione del maso e degli animali, riscoprendo così la sua natura contadina che aveva messo da parte e un attaccamento alla sua terra che non pensava di avere E maledice chi  vorrebbe  annegarla  e  far scomparire dalla geografia:

“Certe volte fissavo così tanto il cielo che mi convincevo di essere sempre stata una contadina. Mi voltavo e guardavo il paese piccolo su in alto e mi invadevano gli stessi sentimenti di Erich che era mia quella terra, che nessuno mi poteva cacciare, che non potevo rimanere inerte a guardare. E sentivo che i fascisti erano bastardi perché volevano annegarci, ci avevano trascinato in guerra e avevano portato via Barbara. E i nazisti erano bastardi uguali perché ci avevano messo gli uni contro gli altri e volevano i nostri uomini solo per farne carne da cannone” p.68.

La grande opzione

Mentre leggo le pagine sull’opzione offerta agli abitanti di Curon di restare o di partire per la Germania, mi viene subito in mente Tempesta di Lilli Gruber che racconta appunto la storia della sua famiglia coinvolta in questa scelta difficilissima. Anche Erich e Trina fanno la loro scelta: restare a Curon.

“Il fascismo sembrava esistere da sempre. Da sempre c'era stato il municipio col Podestà e i suoi tirapiedi, da sempre c'era la faccia del Duce appesa ai muri. Da sempre c'erano i carabinieri che venivano a mettere il naso nei fatti nostri e ci obbligavano ad andare in piazza per ascoltare gli annunci. C'eravamo abituati a non essere più noi stessi. La nostra rabbia cresceva, ma giorni correvano veloci. Il bisogno di sopravvivere la trasformava in qualcosa di debole e sfibrato. Simili alla malinconia diventava la nostra rabbia, non esplodeva mai. Sperare in Adolf Hitler era la ribellione più vera, quella ribellione si faceva palpabile ai tavoli dell’osteria, nei ritrovi clandestini  dove gli uomini si davano appuntamento per leggere i giornali tedeschi, ma svaporava quando soli nelle stalle, mungevano le mucche e si incamminavano verso la fontana a dissetarle.

Sonnecchiammo così indolenti e repressi fino all'estate del 39. Quando i tedeschi Hitler vennero ad annunciare che se lo volevamo, potevamo entrare nel Reich e lasciare l'Italia. La chiamarono la grande opzione.” p.41

La diga

Il titolo del romanzo  è molto chiaro. Erich, marito di Trina, grida a se stesso  e a tutti, forte e chiaro: “Resto qui”. Forse più che dal fascismo, dalla guerra alla quale partecipa obbligato e dalla quale torna ferito con l’intenzione di mai più combattere, dalle lacerazioni causate da scelte dolorose, Erich è terrorizzato dalla incombente costruzione della diga e dalla conseguente distruzione dell'habitat in cui è nato e cresciuto, dove sono nati e cresciuti i suoi avi e i suoi figli. Nonostante tutti i tentativi, suoi e di pochi altri, di bloccare il progetto, arriva il triste momento in cui il “progresso” canta vittoria e le porte dei masi di Curon vengono contrassegnate da lugubri croci rosse. La parte finale del libro è bellissima e commovente. Curon va verso il suo destino.

Marica

Altro elemento di grande impatto è la storia di Marica, figlia di Eric e Trina, che i ricchi zii austriaci, scesi momentaneamente a vivere nel paese, di fatto rapiscono e portano con loro in Germania, il “grande regno”, a vivere il sogno malato del funesto dittatore. Il dolore per il feroce distacco viene vissuto in modo diverso dai due genitori e dal fratello Michael: Trina, dopo  la disperazione iniziale, comincia a scriverle una lunghissima lettera in cui la tiene al corrente di  tutto ciò che accade nelle loro vite. La lettera diventa un diario intimo di cui Trina non può fare a meno per mantenere vivo il  legame con la figlia, fino  a quando il processo arriverà al punto di  risoluzione del conflitto interiore;  Erich butta tutto  dentro, le sue emozioni, il suo  dolore inconfessato per il distacco dalla sua bambina e trova un modo  tutto suo per elaborare il “lutto”; Michael quasi non crede a quanto accaduto e spera sempre di vedere Marica tornare, fino a quando  viene a sapere che…

Michael

Michael è il grande cruccio di Erich, il ragazzo sente forte l’attrazione per Hitler e per il suo sogno malato che sta catturando l’anima di  molti giovani. È un bravo ragazzo, dice sempre Trina, un lavoratore, ma agli occhi di Erich è il peggio che gli potesse capitare come figlio:

“-Hitler o no, Michael è un bravo ragazzo. Dovresti essere meno duro con lui,-e gli  ricordavo quanto tempo era rimasto a guardarlo dormire, quando i soldati italiani lo avevano riportato dal fronte. -Non ti basta il suo bene?- gli domandavo arrabbiata. Ma Erich  quando gli dicevo così mi assaliva, gridava che avere un figlio nazista era il peggio che gli potesse capitare. Il fatto che la gente non lo capisse, il fatto che quasi tutti fossero come lui non spostava di un soffio la situazione. Il nazismo era la vergogna più grande e presto o tardi il mondo se ne sarebbe accorto.”p.83

La gente della valle

Tutti i personaggi  della storia hanno caratteri ben delineati e molto efficaci narrativamente: Trina, Erich, le amiche Maja e Barbara, gli zii filonazisti, la vecchia grassa del rifugio, padre Alfred, Pa’ e Ma’, il campanile semisommerso, l’ingegnere capo-uomo con cappello e sigaro, gli operai-orde di barbari che lavorano alla diga e che, poveri disgraziati, vengono dal Veneto,  dall’Abruzzo e da altre zone del  Meridione a spaccarsi le ossa e i polmoni.  Tutti i personaggi, principali e secondari, contribuiscono a dare un colore definito e incisivo al grande mosaico della storia di Curon e della diga, che Balzano ricostruisce.

Curon e Trina oggi

“D'estate scendo a fare due passi e costeggio il lago artificiale. La diga produce pochissima energia, costa molto meno comprarla dalle centrali nucleari francesi. Nel giro di pochi anni il campanile che svetta sull'acqua è diventato un'attrazione turistica. I villeggianti ci passano all'inizio stupiti e poco dopo distratti. Si scattano le foto con il campanile della Chiesa alle spalle e fanno tutti lo stesso sorriso, deficiente. Come se sotto l'acqua non ci fossero le radici dei vecchi larici, le fondamenta dalle nostre case, la piazza dove ci radunava. Come se la storia non fosse esistita.”p.170

Alla fine del percorso…

Torno  al punto di partenza: “Ho dunque  iniziato la lettura con un obiettivo in mente: scoprire quanto  efficace fosse l’assunzione del punto di vista femminile da parte di Balzano…”

Alla fine del percorso mi trovo d’accordo con Pina. Balzano è riuscito a rendere credibile Trina come narratrice e come protagonista della storia. La cornice di Curon ha fatto da sfondo fantastico a questa bella storia.  Resto qui  è una intensa pagina di Storia e di storie, narrate in maniera scorrevole e “pulita”, senza contaminazioni ideologiche, ma con lo sguardo sempre rivolto al rispetto della dignità sia dell’ambiente che delle persone.

Il punto di partenza di Marco Balzano

“…Questi fatti mi interessavano, ma come punto di partenza. Se la storia di quella terra e della diga non mi fossero parse da subito capaci di ospitare una storia più intima e personale attraverso cui filtrare la Storia con la s maiuscola, se non mi fossero immediatamente sembrate di valore più generale per parlare di incuria, di confini, di violenza del potere, dell'importanza e dell’impotenza della parola, non avrei, nonostante il fascino che questa realtà esercita su di me, trovato interesse sufficiente per studiare quelle vicende e scrivere un romanzo. Sarei rimasto anch'io a bocca aperta a guardare il campanile che sembra galleggiare sull'acqua, mi sarei affacciato dal pontile per cercare di intravedere i resti di quel mondo sotto lo specchio del lago e poi, come tutti, sarei andato via.” p.179

Recensione di Ornella Fortuna (affascinailtuocuore.net) 

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