Girolibro 21-D. Grossman-LA VITA GIOCA CON ME, con te, con tutti. È il trionfo dello story-telling intergenerazionale.

 





La storia

Vera, Nina, Ghili e Rafi sono i protagonisti di un tormentato viaggio dentro l’anima e il corpo di tre donne profondamente ferite dalla vita, ma ostinatamente in cerca di un’identità comune da ricostruire: la novantenne nonna Vera, vittima dei soprusi  del regime di Tito; Nina (“artista della vita”) sua figlia  “abbandonata” a soli sei anni  il giorno in cui la polizia politica trascina la madre verso il baratro della  prigionia; Ghili, nipote “abbandonata”  da Nina,  madre apparentemente incapace di vivere e amare. Rafi papà di Ghili  e compagno di Nina fa da regista, nel verso senso della parola,  registra con la sua Sony  i racconti  di Vera e le interazioni tra le tre donne.  Israele li accoglie  tutti  offrendo loro una seconda chance

Vera la Mitteleuropea «Siamo a Čakovec” spiega Vera alla videocamera, con un tono da guida  turistica. «Vicino a confine con Ungheria e con Austria. Andavamo a vedere teatro e opera a Budapest e a Vienn a. Era nostra cultura. Ungherese era nostra prima lingua. Perciò io non sono ebrea di balcani, e neanche di ghetto. Sono di Mitteleuropa! Europa vera! Non c’è rimasta altra europea come me!»

Il cuore del romanzo è il viaggio del gruppo a Goli Otok, isola maledetta e feroce dove Vera è stata  confinata e dove ha subito le più atroci torture. Il loro arrivo è accompagnato da un’autentica  tempesta di pioggia e vento, ben armonizzata con la tempesta di emozioni suscitate dal racconto autobiografico di Vera. La meta è  la pacificazione finale. 

Arrivata a Goli Otok, meglio conosciuta come “l’Alcatraz dell’Adriatico”, Vera comincia ad andare di qua e di là come impazzita, alla ricerca dei luoghi  della sofferenza: qui c’era questo, qui  c’era quello, là quell’altro. Ricostruisce  così  il suo  soggiorno  infernale, nei minimi dettagli.

I dettagli contano “ Varietà Ettinger. Ogni dettaglio è importante. È così che si costruisce un mito” p.10

Proposte indecenti

Alla base  del  lungo conflitto intergenerazionale, c’è la  scelta dolorosa e  apparentemente incomprensibile che Vera è costretta a fare.  Il suo amato marito Miloš si è suicidato pur di non ammettere il tradimento di cui è accusato, lasciando la sua compagna di vita  nel caos più totale.

L’incontro con Miloš al ballo “Vera da una dimostrazione pratica, balla come se fosse nata a Harlem. Si muove con leggerezza incredibile (a novant’anni!)e canticchia Bella Ciao,la canzone dei partigiani italiane e iugoslavi della sua giovinezza. «E mentre balliamo lui quasi non mi parla, Miloš. Mi stringe come gentiluomo, non se ne approfitta, e soltanto se  io gli faccio domande lui risponde…»

La stessa proposta viene fatta a Vera. Le viene offerta la libertà e la possibilità di riabbracciare la piccola Nina se firma una carta in cui  afferma che suo marito  era un traditore. I Titini  credono di aver trovato la soluzione giusta per una fragile madre vedova. Ormai  suo marito non c’è più e lei  deve pensare solo alla figlia.

Ma questo è il loro punto di vista. Vera non la pensa così. Non vuole tradire l’anima del suo  Miloš, uomo integro, buono, amorevole e sempre fedele alle sue convinzioni politiche. (Però si è ucciso, ma perché l’ha lasciata sola in questo impiccio?). Rifiuta la proposta e accetta il suo destino  di  sofferenza, per due lunghi anni nel lager di Goli Otok. E Nina resta sola, senza papà e senza mamma.

Quando  torna alla sua vita “normale” Vera non riesce a trovare il coraggio  di   parlare della sua  scelta. Solo al compimento del suo novantesimo compleanno, durante la grande festa che la famiglia organizza per lei, e dopo  essere venuta a conoscenza della malattia irreversibile dell’amata figlia, Vera si lascia andare, fino ad accettare il lungo viaggio verso la verità.

Commovente è la proposta di Nina di registrare il viaggio rivolgendosi alla Nina futura, quella che l’Alzheimer avrà reso senza memoria. Nina vuole che in futuro le facciano vedere questo documentario ogni giorno, come fosse una medicina miracolosa. Ghili  lavora nel cinema, ha una lunga esperienza di segretaria di produzione nei film di suo padre Rafi e dunque vuole fare di questo filmato  il documentario della vita.

Sull’isola accadono cose strabilianti, tra i quattro  si  instaura un circuito  vibrante di  passione e dolore, anche fisico. Succedono cose  che stravolgeranno tutti i  piani della documentarista Ghili  e di Rafi, suo mentore-padre-regista.

Il titolo

A telecamera spenta  escono  dalla bocca di Vera le parole che diventeranno il titolo del romanzo:

“Con me vita gioca tanto”(p.196).

Le pronuncia mentre, quasi ubriaca, racconta a Nina, quasi ubriaca anche lei, come l’ha partorita. È un momento di grande intensità e di comunione tra le tre donne. Senza telecamera, Ghili  prende comunque nota di tutta la conversazione sul suo quaderno magico.

Conclusioni

La storia di Vera è una storia vera che  Grossman trasferisce  in  un romanzo molto bello e coinvolgente, dallo stile  teso, incalzante, sferzante e molto emozionante. Le incertezze linguistiche di Vera che non riesce ad abbandonare definitivamente la sua lingua madre, contribuiscono a fare di lei un personaggio autentico  e narrativamente molto efficace.

È lo stile di un grande scrittore che riesce ad assumere il ruolo di “io narrante  al femminile”. E il risultato è sorprendente!

Recensione di Ornella Fortuna

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